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IL FUTURO DELLA CHIMICA VERDE

IL FUTURO DELLA CHIMICA VERDE

14.07.2021.

Frances Hamilton Arnold, la “Signora Della Chimica Verde”, in questi giorni ha illustrato i suoi progetti per una chimica sempre più verde all’Accademia dei Lincei di Roma.
Harnold è una scienziata statunitense, vincitrice del premio Nobel per la chimica nel 2018, co-inventrice di oltre 40 brevetti negli Stati Uniti e fondatrice di una società per la produzione di carburanti e prodotti chimici da fonti rinnovabili.

Parlando di green chemistry, l’ha definita “un continuo evolversi di scoperte e applicazioni”, “una chimica completamente inedita” per la quale “come per la biologia, il filo rosso è l’evoluzione”.

Entriamo nel dettaglio di cosa è la chimica verde: affonda le radici nella conoscenza dei processi naturali, imponendosi come un’alternativa sostenibile e la via da seguire in campo scientifico per il bene del nostro pianeta e della ricerca. Essa si basa su 12 principi:

  1. è preferibile evitare la produzione di rifiuti piuttosto che trattarli dopo che sono stati prodotti;
  2. i metodi di sintesi devono essere progettati per massimizzare l’incorporazione nel prodotto finale di tutti i materiali usati nel processo;
  3. le metodologie sintetiche devono essere il più possibile progettate per usare e generare sostanze che possiedono scarsa o nulla tossicità per la salute umana e per l’ambiente;
  4. i prodotti chimici devono essere progettati preservando l’efficacia della loro funzione e riducendo al contempo la tossicità;
  5. l’uso di sostanze ausiliarie, come i solventi, deve essere reso il più possibile superfluo e queste sostanze, se usate, devono essere innocue;
  6. i fabbisogni energetici devono essere riconosciuti per il loro impatto ambientale ed economico, e devono essere minimizzati; i metodi sintetici devono essere progettati per essere realizzati a temperatura e a pressione ambiente;
  7. le materie prime devono essere rinnovabili piuttosto che esauribili ogni volta che questo sia tecnicamente ed economicamente praticabile;
  8. bisogna ridurre l’uso di derivati e la produzione di derivati non necessari deve essere evitata il più possibile;
  9. i reagenti catalitici (il più possibile selettivi) sono da preferire ai reagenti stechiometrici;
  10. i prodotti chimici devono essere progettati in modo tale che alla fine del loro ciclo di funzionamento non permangano nell’ambiente, ma si degradino fornendo prodotti innocui;
  11. le metodologie analitiche necessitano di ulteriori sviluppi per consentire il monitoraggio e il controllo in tempo reale durante il processo, prima che abbia luogo la formazione di sostanze nocive;
  12. le sostanze usate in un processo chimico e la forma in cui sono usate devono essere scelte in modo da minimizzare il rischio potenziale di incidenti chimici, compresi il rilascio di sostanza, le esplosioni e gli incendi.

Per Arnold, il futuro sono gli enzimi, “proteine fantastiche e complesse”: riuscendo ad imitare i processi naturali di biocatalizzazione enzimatica, gli sviluppi potrebbero essere infiniti, a partire dai biocarburanti fino a nuovi strumenti al servizio dell’agricoltura per combattere insetti nocivi senza danneggiare né le colture né l’uomo.

Al giorno d’oggi, la biocatalizzazione enzimatica sta già trovando impiego nel settore cosmetico, soprattutto per l’estrazione di principi attivi provenienti dall’uva quali resveratrolo e complessi antiossidanti di polifenoli.

Inoltre, in questo caso, risultati eccellenti sembrano provenire non soltanto dalla concentrazione di tali principi attivi all’interno dell’estratto ottenuto, ma dagli effetti sinergici che le componenti sono in grado di mettere in atto. Il settore di ricerca e sviluppo dell’industria cosmetica è dunque in fermento per l’impiego di nuove materie prime che vadano a rendere i prodotti più “green” ed efficaci.

Le meraviglie della green chemistry non si fermano però soltanto alle estrazioni vegetali: grazie ad essa, è possibile sintetizzare molecole bioaffini, che sono componenti simili a sostanze che nel tempo perdiamo, come il collagene, e la cui perdita comporta il rallentamento delle normali funzioni biologiche della pelle favorendo l’invecchiamento cutaneo, così come peptidi mimetici, brevi sequenze amminoacidiche con una struttura simile alla parte attiva delle proteine naturali.
Uno dei fattori critici di debolezza della cosmetica verde, però, è ancora la mancanza di standard che certifichino in modo univoco, secondo parametri mondiali, la greeness di un prodotto; ad oggi è presente solo la linea guida ISO 16128 sui cosmetici biologici e naturali, peraltro molto discussa: “Guidelines on technical definitions and criteria for natural and organic cosmetic ingredients and products”.

Nonostante ciò, crediamo fermamente che le criticità relative alle normative non potranno impedire a queste formulazioni di diventare sempre più in uso e protagoniste di una cosmesi ecodermocompatibile.

La strada parte dalla natura ed è ancora lunga, ma questo è il futuro che SKINECO si augura: sostenibile, consapevole, informato e rispettoso. La sostenibilità è un viaggio per un mondo migliore, e noi, in nome dell’ecodermocompatibilità, abbiamo deciso di intraprenderlo a partire dal rispetto della nostra pelle: per questo, SKINECO resterà vigile e saprà dare il suo contributo scientifico richiedendo precise conferme e test di efficacia e sicurezza.

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/fisica_matematica/2021/07/06/cosi-la-chimica-verde-aiutera-ambiente-e-clima-_ab136946-bf69-44af-9412-5456eea2bf3f.html
https://www.treccani.it/enciclopedia/chimica-verde_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/

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